Il parco romano della via Appia Antica 3 di 9

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AVUS
view post Posted on 23/8/2011, 13:50     +1   -1




Il Parco dell'Appia Antica - La Caffarella

Finito il tour della Sorgente Egeria e dei sepolcri della via Latina eccomi a rinverdire ricordi e sensazioni per la zona dirimpettaia, il Parco della Caffarella, più vasto delle due aree precedenti pur se sempre limitato rispetto il maggiore dell’Appia cui dedicherò un’impegno più accentuato, sia per l’importanza archeologica, sia per l’estensione e presenza di reperti. Dico infatti che, contro i cinque - seicento ettari complessivi delle Tombe Latine, Fonte Egeria e Caffarella, il complesso dell’Appia Antica superi oltre duemila ettari, una estensione enorme. Ho provato di nuovo al che Quinto torni a rimettersi in contatto. E’ inutile. Me l’aveva detto non ci saremmo più visti sin quando … lasciamo stare. Però, mentre torno a pregarlo di fare uno strappo alle sue regole, m’illudo che in qualche modo egli possa seguirmi, ascoltarmi, pertanto ci colloquierò ugualmente pur non avendo risposte ma, chissà, nulla è escluso, la speranza è sempre presente. Per iniziare gli ho rammentato che alcuni sepolcri della via Latina erano dei suoi tempi, quindi di famiglie e persone di sua possibile conoscenza, che la Latina Vetus l’avrà percorsa più volte, cavalcando magari un cavallino arabo-cartaginese o a bordo di una biga dei suoi reparti, altrettanto gli dico del tempietto ritrovato da noi della scuola Carlo Moneta, sparito in pochi anni causa persone incoscienti. Gli ho poi parlato delle fonti dell’acqua sacra, la cui Ninfa Egeria sembra albergasse in loco, oltre che in altri antri e sorgenti più prossimi alla Roma palatina, nei dintorni della Porta Capena, del Circo Massimo e del Septizodium, monumento di rappresentanza per coloro che giungevano in città, di cui è rimasta solo la traccia pavimentale sotto i palazzi imperiali, ignorata dai turisti e dai passanti per la via dei Cerchi. Spero che Quinto mi abbia ascoltato, seguiterò a tentare il contatto. Ciò servirà anche per sentirmi meno solo, confortato nei ricordi e anche aiutato, perché escluderlo? Però, a pensarci, qualche ispirazione e suggerimento potrebbero essere giunti. Mi è parso anche ritrovare Pierluigi, l’amico da cinquanta anni, che ho già immaginato con me nella visita all'Acqua Santa. Egli innamoratissimo di Roma, pur ligure verace, ha completato diverse mie conoscenze sulla Caffarella. Sarà che lui il Parco l’aveva tale a una seconda casa, proprio sotto le finestre, e vi crebbe entrambi i figli. Il suo interesse si estendeva anche all’Acqua Santa, alle Tombe latine e al parco dell’Appia, ma in questi ultimi da padrone la facevo io, cioè ne sapevo più di lui, oltre sentirmele come fossero casa mia. Che si sia inserito fra me e la natura circostante? Magari quale inviato e messo dell’amico Lucius Hostilius, apparentemente fuori dai miei contatti? Ed ora eccomi di nuovo pellegrino in antichità e romanità. Premetto che la zona che tratterò è detta della “Caffarella” dal nome di un’importante famiglia presente in Roma sin dal mille, la Caffarelli. Le sue vicende furono molteplici e gli esponenti altrettanto. Mi limito a dire che furono elementi di rilievo nella vita di allora. Coloro di cui si hanno notizie furono Bartolomeo e Stefano, due Giovanni, Nicolò, Ascanio, Scipione, Francesco, finché nell'ottocento il Conte Luigi passerà il titolo al nipote Conte Negroni, avviando il ramo Negroni-Caffarelli. Ne ho fatto cenno in quanto sin dal millecinquecento la zona era una loro azienda agricola, tutt'ora presente. Dopo questi dettagli faccio un salto a ritroso di diciotto secoli per notare che l’area costituiva una residenza-fattoria (Pagus, cioè villaggio) della famiglia degli Annii, giunta in proprietà ad Erode Attico, il precettore di Marco Aurelio, tramite la dote della moglie Annia Regilla, morta in circostanze oscure, da cui ne derivò un processo a suo carico per possibile uxoricidio, dal quale ne uscì prosciolto. Allora egli, anche per fugare sospetti, ristrutturò il Pagus con opere molteplici in ricordo e onore di Regilla, dandogli il nome di Triopio, dal Triopeion, il Santuario di Demetra a Cnido, al quale i coniugi erano legati. Non tratto per ora il luogo ove Erode Attico realizzò la sua residenza extraurbana, ampliata e ristrutturata un secolo dopo dall'Imperatore Massenzio come privata domus, aggiungendovi ulteriori ambienti, un circo, un sepolcro, un quadriportico, tutti fiancheggianti la vicina Appia al terzo miglio. Ciò, assieme alle aree catacombali, al sepolcro di Cecilia Metella e altro, l'ho includo nell'esame più ampio dell’Appia Antica, per svolgere il quale partirò dalla Porta Capena, fino a giungere nelle prossimità dei Colli Albani, in cui il tracciato vetus confluirà nell'Appia Nuova. Quindi il parco al quale ora mi dedicherò è quello compreso fra le vie Appia Antica e Appia Pignatelli, le vie dell’Almone, Latina, Macedonia, Cilicia, in pratica un'area sia urbana che extraurbana. Inizierò il tragitto dal vicolo di Sant'Urbano, derivazione dell'Appia Pignatelli, che conduce all'interno e all'omonima chiesa. Ho parlato un po’ con Quinto. Gli ho detto:…”Va bene, per ora non ti mostri, ma io sono certo tu ci sia. Sono in un Parco dei tuoi tempi. Erode Attico, Annia Regilla, gli Annii erano più o meno tuoi contemporanei e qualcuno lo avrai pur conosciuto. Quanto potresti dirmi! E perché mi viene in mente che Erode Attico la coscienza del tutto tranquilla per la fine di Regilla non l’avesse? sei tu a suggerirla?”... O sia stato Pierluigi a lanciare questo dubbio, visto che di perplessità ne ebbe anche lui? Ho già accennato che per noi ragazzetti dodicenni quelle grandi estensioni costituivano solo prati, niente parchi, ove stazionavano etere caserecce, si aprivano gallerie, alcune adibite a fungaie o ricovero di derelitti. Una discreta parte invece era occupata ancora da orti i quali, per l’irrigazione, beneficiavano dell’Almone che scorreva abbondante. Nei prati restanti greggi di pecore, sorvegliate da pastori sgarbati e maremmani scorbutici, completava il quadro agreste-bucolico. Tutto ci era noto e ignoto al tempo stesso, ci sentivamo fuori dal mondo, sperduti in terre senza fine, pur se scuola e case si trovavano a dieci minuti di distanza. I tanti reperti oggi in evidenza erano allora inglobati nella vegetazione e negli appezzamenti destinati a insalata e pomodori. C’era anche una grossa fattoria (c'è sempre) con villici maneschi e cani aggressivi che ci consigliavano di tenercene alla larga. Per noi era interessante la presenza di una fossa-cisterna che regolava il corso dell’Almone, la cui acqua veniva controllata dalla famosa “Ruota Rossa”, grossa manopola un tempo verniciata in rosso, che alzava o abbassava la saracinesca del flusso (gli anziani ricorderanno). La consideravamo una piscina a cielo aperto, pur se fredda e col fondale melmoso. Purtroppo vi si affogò qualcuno, ragazzo o meno, non tanto per la profondità quanto per la temperatura gelida e le congestioni per pancia piena di cibo e bevande. Farci il bagno era però proibito e a volte appariva qualche guardia comunale che ci faceva allontanare, magari portandosi via scarpe e vestiti (a volta accadde, a noi della scuola no). Ed eccoci ad oggi. Gli orti sono spariti mentre è sempre presente la fattoria più ingentilita, anche commercialmente. La zona è sistemata e i reperti ripristinati per il possibile. Arrivo con l’auto, la parcheggio dietro Sant'Urbano e m’immetto nel Parco dall'ingresso opposto a quello usualmente utilizzato da tutti. Pochi passi e sono di fronte la chiesa derivante dall'adattamento ad uso cristiano del tempio dedicato a Cerere e Faustina, eretto da Erode Attico, nel cui interno egli pose una statua di Annia Regilla, da lui definita “luce della casa”. Poi passeranno i secoli, ci sarà il riempimento murario fra le colonne e la trasformazione nell'edificio sacro di oggi, che conserva all'interno resti pregevoli, sia romani sia dei secoli successivi. Il complesso, annessi compresi, è privato, collegato ad un ristorante adiacente, e vi si celebrano dispendiosi matrimoni per gente danarosa e VIP particolari. Potei visitare il tempio in tempi andati; oggi non è stato possibile. Rammento l’impressione di secoli che vi stagna all'interno, e l’immaginazione corre ad Erode raccolto di fronte al simulacro della sua Regilla. Nelle prossimità si notano un colombario Costantiniano e una cisterna per le necessità del Pagus. Sempre nei pressi, accanto l’Almone, si erge una torre-ponte del XII secolo a guardia della zona, già con un molino a ruota utilizzato per il lavaggio e follatura dei panni (Torre Valca, dal longobardo walkan, rotolare). Giro a piedi, non potrei diversamente, e inizio a sentire che la fatica, quella vera, non tarderà ad apparire.Torno indietro, scendo un breve tratto, ed eccomi al presunto Ninfeo di Egeria, almeno così indicato. Ad esso adiacente si trovava un allargamento dell’Almone, il “lacus salutaris”. In effetti il Ninfeo è un’opera sorta con la sistemazione data da Erode alla sua residenza. Il vero, o altro antro di Egeria, avrebbe dovuto trovarsi in prossimità della Porta Capena, nella pianura acquitrinosa sottostante il Palatino. Comunque anche questo Ninfeo può immaginarsi come luogo di presenza e culto Il sito è suggestivo e non posso evitare che la mente si figuri il re-sacerdote Numa cercare il consiglio e vaticinio dalla Ninfa li presente (i maligni ipotizzavano che Numa andasse a cercare anche altri favori...). Proseguo il girovagare fra viottoli, piante, rivi, pecore al pascolo, quando dei belati disperati giungono da una grande siepe. Mi avvicino ed assisto sconcertato al parto di un agnellino da parte di una pecora implorante qualche aiuto, con un cane immobile a presidiare l’improvvisata clinica. Il nascituro, pochi attimi dopo, è già in piedi, col cordone ombelicale pendente, mentre la mamma, visibilmente provata, lo annusa e lo lecca. Arriva quasi subito un addetto della vicina fattoria, mezzo satiro e mezzo animale il quale, afferrato il piccolo per le zampe posteriori, lo porta via sballonzolandolo come un pollo già andato all'altro mondo. Differenza abissale fra l'ambiente, l’evento e quanto svolto dall'essere umano. Non commento, ho la bocca amara. Supero canali, vegetazione e giungo di fronte al casale ove ha sede l’azienda agricola odierna, unica, già censita nel 1500 come Caffarelli. Si tratta della fattoria “La Vaccareccia”. Poco è cambiato in cinque secoli. Recinti vari accolgono ovini, gallinacei, suini. I cani, usi stavolta a tollerare persone terze, si avvicinano, annusano, non attaccano, pur se non posso dire abbiano lo sguardo amichevole. Entro in un vano a piano terra ove in enormi pentoloni bolle latte di pecora e si producono caciotte. Ne compero una forma sui tre chili che, quanto a qualità e sapore, non ha nulla a vedere con quelle di semiplastica vendute nei mercati. Costa più o meno uguale, ma che soddisfazione vederla nascere dai paioli e cestini di asciugamento. Mi offrono anche delle uova, nonché una gallina da brodo appena accoppata, prodotto pressoché scomparso dalle nostre tavole, salvo i polli di batteria da pochi soldi. Porterò tutto a casa. La caciotta l’useremo per un’infinità di volte come seconda portata e non complemento del desinare. Per le uova mia moglie dirà di non averle mai trovate così grandi, fresche e buone, mentre la povera gallina, dal peso spaventoso, fornirà brodo eccellente e carne robusta, anche troppo, per una settimana, trovando pure nel suo interno un grappolo di più tuorli d’uovo. Mi attardo alquanto fra uomini ed animali e mi trasferisco poi nel non vicino Tempio del Dio Redicolo, incluso in un’area privata ma visibile esternamente, dedicato al nume che, sembra, convinse Annibale a non attaccare Roma. In effetti, a parte il Dio Redicolo (dal nome strano) che ivi avrà pur avuta una sede di culto, il fabbricato sembrerebbe essere stato per secoli il sepolcro di Annia Regilla, finché le nuove civiltà o inciviltà gli abbiano dato lo sfratto. Accanto è presente un altro molino a ruota alimentato dal corso dell’Almone. Torno ai miei passi. Mi vedo accanto una seconda cisterna, indi una miriade di reperti sparsi che tralascio, essendomi dilungato più del previsto in questa visita. Riconosco il gruppo di grotte ove da ragazzi ci perdemmo, con una bella strizza per tutti. In altre cavità s’intravedono piccole comunità, forse nomadi o fungaioli di Champignon. Sono molte le fosse provocate dal crollo volte delle camere di smistamento delle sottostanti cave, oggi riempite di rovi e sterpaglie. Fu una di loro a darci l’uscita quando ci perdemmo, riempiendoci di lividi e graffi. Sono state tre ore di cammino difficoltoso e sono stanco. Rieccomi quindi in prossimità della chiesa di Sant'Urbano. Esco, l’auto mi attende e dieci minuti dopo sono a casa (abito nei paraggi), coi polpacci e piedi che reclamano un po’ di massaggio e riposo. Ho indicato solo le cose maggiori, come fare diverso? Già sapevo, e me lo sono rammentato, che la valle fluviale della Caffarella è costituita da quattro strati sovrapposti di sedimenti marini, ghiaie, tufi e pozzolane, espulsi dal vulcano laziale fra i quattrocentomila e ottantamila anni or sono. La robusta e interessante vegetazione mi ha seguito per tutto il percorso con pioppi, salici, giunchi, equiseti, calle, roverella, macchia mediterranea, farnie, pungitopo, melo, pero, rose, sambuco, il residuo di un bosco di lecci sacro a Egeria, per quanto ciò possa risultare esatto. E che dire della popolazione avicola? Sono di casa passeri, verdoni, cinciallegre, capinere, pettirossi, cardellini, beccaccini, fagiani, colombe, merli, gazze, mentre gheppi, civette, barbagianni vivono nascosti nei meandri dei ruderi. E nella macchia sottostante, spesso umida, ecco serpi, bisce, rane, rospi, salamandre. Anche la volpe è presente, pur se è difficile notarla. E’ ovvio che fra volpi, predatori, serpi e bisce, hanno vita grama topi, ratti, scoiattoli e lepri. Quanto all'universo insettivoro è presente al completo. Oltre gli animali selvatici ci sono in loco, introdotti dall'uomo, pecore, cani, gatti, maiali, conigli, cavalli, mucche, galline, tacchini. Penso a ciò mentre mi dico: … “Quinto, com'è possibile tu non mi abbia seguito? io continuerò a parlarti e tu cerca il possibile non per mostrarti, ma almeno per farmi capire che ci sia. E per te, Pierluigi, ti ho sentito accanto come le volte che abbiamo passato qualche ora nel Parco, specie l’ultima quando, superato l’ingresso, ti sedesti su una pietra accanto il cisternone oggi rivisto dicendomi che non te la sentivi di andare oltre. Non era da te, dovevi proprio star male. Rientrammo, tre mesi ancora e ci lasciasti”.. Nel ritorno mi dirigo verso la Porta Capena della cinta Serviana e del Septizodium, le cui pietre finirono nella basilica di Santa Maria Maggiore e, ormai inatteso, trovo seduto su un masso il mio avo e amico Quinto, col volto non ben disposto. Allora: …”Ciao, che fai qui, non aspettavo incontrarti e perché hai la faccia incavolata?”… …”A Checco, nun fa’ finta de gnente, da giorni rompi li zebbedei pe’ no’ strappo a le regole che m’aveveno fatto rientrà … ho chiesto de fa’ na’ puntata ma è l’urtima, capito? sto’ quì specie pe’ l’amico tuo. Si, quello che chiamavi Pier scordannote Luigi. Te manna a di’ che te stà vicino e nun po’ fa’ de più, ar massimo cerca de sussurratte quarcosa. Quanto ar fasse vede nemmeno a parlanne, è troppo presto" …”ma lo capisci che lui stà co’ noi da un gnente de tempo e ancora nun ha capito ndo’ c..zo se trova e le regole da rispettà? Comunque m’ha detto che si, era lui quello che t’era sembrato de capì, ricorda tutto de sti’ parchi e che pe’ er Dio Redicolo e la villa d’Erode t’ha chiarite le idee che tu ciavevi e nun ciavevi, ma nun pretenne de più, e circa stò Dio dar nome strano avrà pure convinto li cartaginesi a lassà perde Roma, ma so’ sicuro che Annibale, quer cornuto, nun ha attaccato perché j’avremmo fatto un culo a padella si ce provava, insomma s’è cagato sotto da la paura da finì ar Mamertino o a fa er gladiatore ar circo … Mo’ devo lassatte e si me riesce vedo de statte vicino, nun lo so se possibile, ma tu pé adesso nun me chiamà, sennò de là s’encazzeno. Al limite parlame, po’ esse che te senta. Ave Checco, a quanno sarà” Con Pierluigi in ogni modo ci parlerò a tu per tu nella sua dimora al Verano di Roma, ove a volte passo a trovarlo e ci faccio due chiacchiere. Il mio “Remind” caffarelliano per ora è terminato. Lascio la grande valle, salva fortunatamente dagli scempi che la circondano, chiamata un tempo la Valle dei “Marmi”, o la valle “Bianca”, per lo splendore litico del suo contenuto, fagocitato poi dalle esigenze dell’Urbe e del contado che per secoli ha rapinato di tutto. Tornerò presto, parco della Caffarella, magari in compagnia virtuale dei miei due amici. Aggiungo qualcosa su una appendice della Caffarella, cioè di quella parte minore (200 ettari, un niente) divisa dal percorso della via Ardeatina, che ha preso il nome di Parco di Tor Marancia, pressoché contiguo a casa nostra e un tempo residenza dei Conti Ceribelli, di cui la casa colonica, accanto il nostro palazzo, è ora adibita ad un Centro Anziani ove i vecchiotti stazionano passivi o ballano funerei tanghi e valzer. Le caratteristiche geologiche, faunistiche, avicole, botaniche, sono le stesse e non poteva che essere così. Anche qui sono presenti le fosse dai crolli delle volte di cave di pozzolana. In queste gallerie vissero, si riprodussero, sparirono, generazioni di cavatori di livello infimo. E’ presente anche uno sprofondamento del terreno, da generare timore in coloro che vi si trovano a transitare, con una valle sul fondo perigliosa per la profondità e ripidezza delle pareti, conseguente ad un assestamento sia geologico sia all'opera dell’uomo. Le pareti mostrano, tali un libro aperto, le stratificazioni geologiche succedutesi nei millenni per le eruzioni del vulcano laziale. Di reperti archeologici c’è qualcosa di non ben definito. Per ora basta, pure quest’area, mi vedrà in seguito.


Edited by AVUS - 15/11/2017, 22:40

Attached Image: Caffarella

Caffarella

 
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view post Posted on 15/11/2017, 09:18     +1   -1
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Buongiorno Francesco. Roberto. Ariel e tutti! Che posto stupendo e quanta storia, tu un narratore o diciamo uno scrittore attento. Peccato che Mancinus non si sia palesato poteva darti una mano di aiuto! :D Buona giornata...
 
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AVUS
view post Posted on 15/11/2017, 16:11     +1   -1




Vedi cara amica, ogni reperto, pietra, manufatto, del parco dell'Appia Antica, nella sua globalità o nelle sue particolarità, poco cambia, necessiterebbe di una attenzione e applicazione specifiche. Questa parte d'inizio presenta poi la unicità di essere nel contempo sia totalmente agreste, non notandosi in più punti alcun collegamento urbano, sia cittadina, visto che in altre parti è adiacente alle costruzioni intensive del quartiere Appio. Una esperienza in ogni senso, come quella del veder nascere le caciotte sotto i tuoi occhi o partorire le pecore fra i rovi. Ciao

Edited by AVUS - 15/11/2017, 23:11
 
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